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autore
brano
 
Apuleio
Della magia, 57
 
originale
 
[57] Vt puto, Maxime, satis uideor cuiuis uel iniquissimo animum explesse et, quod ad sudarium pertineat, omnem criminis maculam detersisse, ac bono iam periculo ad testimonium illud Crassi, quod post ista quasi grauissimum legerunt, a suspicionibus Aemiliani transcensurus. testimonium ex libello legi audisti gumiae cuiusdam et desperati lurconis Iuni Crassi, me in eius domo nocturna sacra cum Appio Quintiano amico meo factitasse, qui ibi mercede deuersabatur. idque se ait Crassus, quamquam in eo tempore uel Alexandreae fuerit, tamen taedae fumo et auium plumis comperisse. scilicet eum, cum Alexandreae symposia obiret -- est enim Crassus iste, qui non inuitus de die in ganeas conrepat -- , in illo cauponii nidore pinnas de penatibus suis aduectas aucupatum, fumum domus suae adgnouisse patrio culmine longe exortum. quem si oculis uidit, ultra Vlixi uota et desideria hic quidem est oculatus; Vlixes fumum terra sua emergentem compluribus annis e litore prospectans frustra captauit: Crassus in paucis quibus afuit mensibus eundem fumum sine labore in taberna uinaria sedens conspexit. sin uero naribus nidorem domesticum praesensit, uincit idem sagacitate odorandi canes et uulturios; cui enim cani, cui uulturio Alexandrini caeli quicquam abusque Oeensium finibus oboleat? est quidem Crassus iste summus helluo et omnis fumi non imperitus, sed profecto pro studio bibendi, quo solo censetur, facilius ad eum Alexandria[m] uini aura quam fumi perueniret.
 
traduzione
 
Mi pare, Massimo, di aver detto abbastanza per soddisfare anche l'animo pi? maldisposto: e quanto al fazzoletto, di aver tolto ogni macchia di peccato. Sicch? ormai dalle supposizioni di Emiliano sicuramente passer? a quella famosa testimonianza di Crasso. Avete ascoltato la lettura di una deposizione scritta fatta da un certo ghiottone e lurcone disperato, Giunio Crasso; che io, cio?, nella sua casa, con il mio amico Appio Quinziano, che stava l? a pigione, abbia fatto dei sacrifici notturni; e quantunque Crasso sia stato in quel tempo precisamente in Alessandria, tuttavia dice di avere scoperta la cosa mediante fumo di torce e penne di uccelli. E gi?: egli ? uomo che si trascina ben volentieri di giorno nelle taverne: cos? mentre in Alessandria faceva baldoria, in mezzo a quelle esalazioni di osteria, diede la caccia alle penne che venivano dai suoi Penati e riconobbe il fumo che sorgeva lontano dal culmine della patria dimora. E se lo vide con gli occhi, pi? di quanto fosse nei voti e nei desideri di Ulisse, egli ? veramente occhiuto. Ulisse cerc? invano in tanti anni di vedere dalla spiaggia il fumo che saliva dalla sua terra; Crasso, in pochi mesi di assenza, quel medesimo fumo ha visto senza fatica, stando a sedere in una bettola. Se poi avvert? con le narici quell'odore domestico, egli vince per finezza di fiuto i cani e gli avvoltoi; infatti a qual cane, a quale avvoltoio del cielo alessandrino pu? giungere l'odore di alcuna cosa che venga dalle terre di Oea? ? veramente codesto Crasso un sommo ghiottone, conoscitore di ogni fumo, ma in grazia della sua passione per il vino, per cui soltanto ? tenuto di conto, ? pi? facile gli sia giunto ad Alessandria l'odore del vino che quello del fumo.
 

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